Un’introduzione ai rischi dei titoli a reddito fisso
Quando i mercati azionari diventano particolarmente instabili, come sono stati senza dubbio da metà febbraio a ora, molti investitori si mettono alla ricerca di investimenti che percepiscono come sicuri. Sulla base della nostra esperienza, tali investimenti riguardano per lo più titoli a reddito fisso. Nel breve termine, i titoli a reddito fisso evidenziano una volatilità minore rispetto alle azioni, una caratteristica potenzialmente molto allettante nei periodi in cui le azioni sembrano essere sulle montagne russe. Tuttavia, anche se è sicuramente utile la capacità di ridurre la volatilità nei segmenti azionari dei portafogli degli investitori, soprattutto oggi, riteniamo che alcuni investitori si spingano troppo oltre, finendo per considerare i titoli a reddito fisso come intrinsecamente sicuri e le azioni come intrinsecamente rischiose. Secondo noi, i periodi di elevata volatilità rafforzano questa percezione. Ciononostante, a nostro avviso la volatilità non è l’unico rischio di cui gli investitori dovrebbero tenere conto, e i titoli a reddito fisso sono esposti a una serie di rischi specifici che vale la pena di considerare. Ora può essere un momento particolarmente difficile per valutare questo aspetto in modo razionale, ma pensiamo che gli investitori possano beneficiare di un’analisi di questo tipo.
Innanzitutto, c’è il rischio di inflazione. La maggior parte dei titoli di debito paga un tasso d’interesse fisso. In tal caso, l’inflazione, ossia l’aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi, ridurrà il potere d’acquisto del reddito ricevuto da questi strumenti. Il rischio d’inflazione riguarda tutte le classi di asset: le azioni, le materie prime, i titoli a reddito fisso e soprattutto la liquidità. Tuttavia, gli asset che offrono rendimenti più elevati, come le azioni, storicamente superano il tasso di inflazione con un ampio margine, perfino nei periodi di mercati ribassisti. Per la liquidità e il debito, a titolo di confronto, la perdita di potere d’acquisto può essere significativa. Anche un tasso d’inflazione annuo del 2%, ossia la media storica dell’Eurozona, può ridurre il potere d’acquisto di una valuta di quasi un terzo nell’arco di 20 anni.[i] Pertanto, in realtà un investimento eccessivo in liquidità o in titoli di debito con l’intenzione di contenere la volatilità può essere esposto a un rischio maggiore di erosione del capitale nel lungo periodo.
Abbiamo poi il rischio di reinvestimento, ossia la possibilità che alla scadenza dei titoli a reddito fisso (ovvero quando questi devono essere rimborsati dall’emittente), l’investitore non sia in grado di trovare titoli sostitutivi con un rendimento analogo senza assumere un rischio maggiore. Il rischio di reinvestimento si manifesta nei contesti di calo generalizzato dei tassi d’interesse. Ad esempio, i titoli di Stato francesi a 10 anni emessi a febbraio 2010 pagavano un interesse del 3,5%.[ii] Ciò significa che ogni anno, su 100.000 € investiti, fruttavano 3.500 €. Detenendoli fino alla scadenza, un investitore avrebbe recuperato i suoi 100.000 € e avrebbe ricevuto 35.000 € di interessi. Tuttavia, alla scadenza di questi titoli, a febbraio 2020, il rendimento delle emissioni sovrane francesi a 10 anni era pari a -0,2%.[iii] Gli investitori europei avrebbero difficoltà a trovare uno strumento di qualità anche solo vagamente paragonabile a quella di un titolo di Stato francese con un rendimento superiore al 2%, per non parlare del 3,5%.
Riteniamo che gli investitori che detengono debito in scadenza siano chiamati a compiere una scelta difficile. Possono reinvestire i proventi del titolo in scadenza in uno strumento equivalente (ma con rendimenti più bassi) e accettare di ricevere un flusso di reddito ridotto oppure acquistare titoli a più alto rendimento. Alcuni, come le obbligazioni societarie di alta qualità, vanno benissimo, ma oggi anche questi strumenti potrebbero non raggiungere un rendimento del 3,5%. Di conseguenza, gli investitori obbligazionari focalizzati sul rendimento potrebbero orientarsi verso strumenti via via più rischiosi, esponendosi a un aumento della volatilità. Così facendo, a nostro giudizio rischiano di rinunciare al principale vantaggio offerto dai titoli a reddito fisso in termini di gestione del portafoglio.
Il rischio di default (noto anche come rischio di credito) è la possibilità che l’emittente di un titolo a reddito fisso non sia in grado di effettuare i pagamenti di interessi concordati o di rimborsare l’intero capitale. Ciò può verificarsi quando l’emittente incontra difficoltà finanziarie. Per esempio, durante la crisi del debito sovrano dell’Eurozona, la Grecia si è resa inadempiente tre volte in quattro anni: due volte nel 2012 nei confronti di numerosi creditori privati e una volta nel 2015, con il Fondo monetario internazionale. Ma il più delle volte sono le società a trovarsi in difficoltà, come l’agenzia di viaggi britannica Thomas Cook, che ha improvvisamente cessato le operazioni e richiesto l’ammissione alla procedura fallimentare lo scorso settembre. Il rischio di default è di norma più elevato durante una recessione (ovvero una contrazione dell’attività economica prolungata e su larga scala), soprattutto per società più piccole e più indebitate. I recenti aumenti dei rendimenti sui titoli di debito aziendali con i rating più bassi riflettono probabilmente l’aggravarsi dei timori di una recessione.[iv] Alla luce delle interruzioni delle attività causate dalla reazione degli stati mondiali all’epidemia di coronavirus, gli investitori sembrano richiedere razionalmente un rendimento maggiore in cambio della loro disponibilità a concedere prestiti alle aziende che presentano un rischio più elevato di default. A nostro avviso, la diversificazione tra diversi emittenti e tipi di emittenti (ossia societari e sovrani) è un modo semplice per limitare il rischio di default delle proprie posizioni obbligazionarie.
Abbiamo poi il rischio di tasso d’interesse, ossia il rischio che un aumento generalizzato dei tassi d’interesse faccia scendere il prezzo dei titoli a reddito fisso in portafoglio. I prezzi delle obbligazioni si muovono nella direzione opposta a quella dei tassi di interesse. Il motivo è che i tassi d’interesse più elevati di strumenti analoghi di nuova emissione rendono questi ultimi più interessanti, pertanto gli investitori probabilmente non pagheranno lo stesso prezzo per un titolo emesso in precedenza con rendimenti più bassi. Di norma, i titoli a più lungo termine, ossia con scadenze più lunghe, sono esposti a un rischio di tasso d’interesse più elevato. Il motivo è la “duration”, ossia il lasso di tempo necessario affinché i pagamenti corrisposti dai titoli a reddito fisso coprano il capitale. Le obbligazioni con scadenze più lunghe rimborsano il capitale più lentamente, quindi la loro duration è più elevata. Quest’ultima comporta una maggiore sensibilità alle variazioni dei tassi d’interesse, che amplifica gli aumenti di prezzo dei titoli di debito quando i tassi scendono e le flessioni dei prezzi quando i tassi aumentano.
Prendiamo ad esempio l’Austria, che nel 2017 ha emesso titoli di Stato a 100 anni con un rendimento del 2,1%.[v] La duration molto elevata di queste emissioni ha fatto sì che i loro prezzi registrassero un’impennata nel 2019, poiché nei primi tre trimestri dell’anno, e poi di nuovo all’inizio del 2020, i tassi d’interesse sono diminuiti.[vi] Tuttavia, questi guadagni potrebbero facilmente svanire. Inoltre, la tendenza di questi titoli a seguire le fluttuazioni dei tassi d’interesse fa aumentare la volatilità del portafoglio, l’esatto opposto di quello che, a nostro avviso, è il ruolo principale dei titoli a reddito fisso in un portafoglio.
Infine, il rischio di liquidità è la possibilità che risulti difficile vendere un titolo a reddito fisso rapidamente e al prezzo desiderato. Tra i numerosi strumenti a reddito fisso a disposizione degli investitori, alcuni vengono negoziati frequentemente, come i titoli di Stato ad alto rating. Di norma è molto facile trovare un acquirente per questi titoli, ma altri vengono negoziati con una frequenza molto bassa, il che li rende più difficili da valutare. Di conseguenza, se si ha urgenza di venderli, potrebbe non essere possibile farlo al prezzo desiderato. Peggio ancora, molti investitori potrebbero cercare di vendere un titolo illiquido contemporaneamente, esasperando la pressione sui prezzi. In questo caso, anche chi trova un acquirente potrebbe essere costretto ad accettare un prezzo più basso.
I titoli a reddito fisso possono avere un ruolo importante nel vostro portafoglio e ridurne le oscillazioni. Le recenti enormi oscillazioni sui mercati hanno messo in risalto questo vantaggio, tuttavia non bisogna confondere la loro volatilità più bassa con l’assenza di rischi. Ricordate infatti che ogni investimento comporta rischi.
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[i] Fonte: FactSet, dati al 18/02/2020. Indice armonizzato dei prezzi al consumo, tasso di variazione su 12 mesi, mensile, gennaio 1991-gennaio 2020.
[ii] Ibid., 19/02/2020. Rendimento dei titoli di Stato decennali francesi, febbraio 2020.
[iii] Ibid. Rendimento dei titoli di Stato decennali francesi, 19/02/2020.
[iv] Fonte: Federal Reserve Bank of San Francisco, dati al 20/3/2020. Rendimento effettivo dell’indice ICE BofA High Yield in euro, 20/2/2020 – 19/3/2020.
[v] “The Buying Frenzy Over a 98-Year Austrian Bond”, Allan Sloan, The Washington Post, 02/08/2019.
[vi] “The $100 Trillion Bond Market’s Coronavirus Mayhem in 13 Charts,” Brian Chappatta, Bloomberg, 7/3/2020;
FactSet, dati al 19/02/2019. Rendimento dei titoli di Stato decennali di riferimento dell’Eurozona, gennaio-settembre 2019.