Prezzi Record per il Petrolio
Oltre i 100 Dollari a Barile
FTA Online News, Milano, 11 Gen 2008 - 10:48
Il tema petrolio è tornato nuovamente alla ribalta dopo il recente balzo in avanti dei prezzi che hanno raggiunto livelli mai registrati prima, almeno in termini nominali, infrangendo la soglia psicologica dei 100 dollari al barile. In un anno il costo di un barile di greggio quotato al Nymex è passato dai 58 dollari fino appunto a quota 100, mentre esperti ed economisti di tutto il mondo si interrogano sia sulle cause che soprattutto sulle conseguenze di un tale comportamento.
Diverse sono le opinioni sulle ragioni dell’aumento. Prima di affrontarle può essere istruttivo capire come si è giunti alla situazione attuale. La vertiginosa crescita dei prezzi del petrolio inizia nella prima metà degli anni settanta in concomitanza con la crisi petrolifera del 1973, anno in cui le quotazioni dell’oro nero arrivano quasi a quadruplicarsi in seguito all’embargo dei maggiori paesi produttori, aderenti all’Opec, contro i sostenitori di Israele nella guerra del Kippur. Il record dei 42 dollari viene toccato nel 1980 con la crisi successiva alla rivoluzione di Khomeini e la conseguente guerra tra Iran e Iraq (nello stesso periodo l’Unione Sovietica invade l’Afganistan). E’ interessante notare come, almeno stando ai calcoli dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), è proprio nel 1980 che viene toccato il record "reale", del prezzo del greggio, a quota 101,70 dollari. I prezzi imboccano la strada in discesa nella seconda metà degli anni ’80 per tornare fino a 10 dollari. L’invasione dell’Iraq ai danni del Kuwait segna un nuovo balzo del greggio che nel 1991 torna sui valori registrati nel 1983, sopra i 30 dollari. Durante tutti gli anni ’90 fino all’attentato alle torri gemelle il prezzo del greggio resta su livelli storicamente accettabili e torna a salire durante la guerra in Afganistan con un picco durante l’invasione dell’Iraq. Il limite dei 40 dollari verrà di nuovo abbattuto all’inizio del 2005 quando il petrolio salirà verso quota 60 dollari, livello raggiunto e poi abbattuto l’anno successivo, quando è iniziata la rincorsa verso i valori attuali.
La recente corsa al rialzo è da attribuire a molteplici fattori: lo scenario geopolitico sempre più instabile dopo l’annuncio dei programmi di arricchimento dell’Uranio da parte dell’Iran e la rivolta dei guerriglieri del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (la Nigeria ad oggi rappresenta il principale esportatore di petrolio del Continente africano). Ma anche gli sconvolgimenti del clima con tempeste ed uragani capaci di bloccare raffinerie e impianti per interi giorni. Recentemente è toccato ad alcuni porti del Messico, dai quali il petrolio viene esportato, chiusi a causa delle condizioni climatiche avverse. Non ultime in ordine di importanza le dinamiche tra domanda e offerta, con un fabbisogno sempre crescente di materia prima e una disponibilità invece sempre più esigua. Secondo una recente indagine effettuata dall’agenzia Platts, il maggior "provider" internazionale di informazione di settore, ogni giorno la capacità estrattiva delle "Big" del comparto oil si assottiglia sia a causa dell’esaurimento dei pozzi più vecchi ma anche del braccio di ferro in atto con i paesi proprietari che rendono più difficile lo sfruttamento e tendono a nazionalizzare le società estrattrici come accaduto in Russia, Venezuela, Messico e Nigeria.
Non va poi dimenticato il fenomeno della speculazione. Il presidente dell'Unione petrolifera, Pasquale De Vita, è convinto che sulle attuali quotazioni del greggio, le speculazioni finanziarie "pesano molto". Secondo dati recenti, attualmente solo il 25% dei contratti di fornitura arriva alla consegna fisica del bene, il restante 75% è contrattato dalle grandi società finanziarie e dagli hedge funds allo scopo di speculare sulle oscillazioni del prezzo del greggio.
Difficile invece capire se il tema della scarsità sia tra i motivi che fanno lievitare i prezzi. C’è, infatti, chi è convinto che i pozzi possano garantire il soddisfacimento dei bisogni del mercato ancora per soli dieci anni e chi invece è certo della presenza di nuove ed importanti riserve in grado di garantire l’estrazione ancora per lungo tempo.
Una soluzione per cercare di calmierare i prezzi potrebbe essere quella di immettere sul mercato quantità aggiuntive di petrolio, ipotesi che però è stata esclusa di recente sia dagli Usa che dall’Agenzia internazionale dell’energia.
L’Opec, dal canto proprio, ha escluso di anticipare la riunione prevista per il 1° febbraio e non aumenterà quindi la produzione giornaliera, ritenendo falsa la motivazione secondo la quale la vera causa della nuova fiammata dei prezzi sarebbe da attribuire allo scarso rifornimento. Secondo il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia, invece pesano i consumi crescenti tanto che da qui al 2024 l’Organizzazione dei Paesi produttori non potrà più sostenere la pressione della domanda di materia prima da parte dei paesi industrializzati. Una cosa è certa: il continuo aumento di prezzo delle risorse energetiche avrà un sicuro impatto sulla crescita economica dell'Unione europea.