Dalla COP26 in avanti: la normativa UE per decarbonizzare l’economia reale
Il tema fondamentale della tassonomia UE contestualizzato con un'analisi dei risultati di COP26
Forum per la Finanza Sostenibile, 01 Dic 2021 - 16:15
Il patto per il clima uscito dalla Conferenza delle parti di Glasgow (COP26) non è quello che molti si aspettavano. Tuttavia, il bicchiere è mezzo pieno. Se infatti è vero che i governi sono arrivati a un risultato diverso da quello richiesto dalla scienza e da larga parte della società civile, il nuovo accordo disegna comunque una nuova cornice mondiale. Le aziende di numerosi settori economici e industriali, da parte loro, hanno mostrato, tramite diverse iniziative e alleanze, di aver imboccato la strada della decarbonizzazione. Rimane aperta e anzi sempre più rilevante la sfida della rendicontazione degli obiettivi – auspicabilmente con solide basi scientifiche – e dei risultati raggiunti.
Il mondo che esce dalla COP26 è un mondo consapevole di dover ridurre pesantemente l’estrazione e l’uso delle fonti fossili e tagliare i sussidi a favore di queste attività. In questa cornice, mentre India e Cina hanno imposto una riduzione piuttosto che un abbandono del carbone, si è confermata la posizione di avanguardia dell’Unione Europea. Mentre infatti Stati Uniti e Repubblica popolare cinese hanno siglato un accordo di collaborazione, l’Europa rimane l’unico continente con una legge per il clima e una roadmap verso la neutralità climatica.
Sul ruolo della normativa europea per decarbonizzare l’economia reale e accompagnarla verso la neutralità climatica, con il contributo fondamentale degli investimenti finanziari sostenibili, si è focalizzato un side event alla COP26 organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con la Direzione Generale Mercato interno, industria, imprenditoria e PMI (DG GROW) della Commissione Europea, il Fondo Europeo per gli Investimenti e l’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC). Durante l’evento tenutosi il 4 novembre 2021, trasmesso online e a Glasgow, il Segretario Generale del Forum ha evidenziato come la normativa europea stia delineando una cornice legislativa a supporto di un nuovo paradigma di crescita sostenibile e inclusiva. Se infatti a Glasgow si è osservato un forte attivismo di molte aziende, il perimetro in cui queste possono muoversi e agire per la neutralità climatica è definito dalla normativa europea. Questa crea le condizioni positive e abilitanti per accompagnare Stati membri e imprese sulla strada della transizione, che deve coniugare obiettivi ambientali e sociali. Una parte significativa di tale architettura normativa è focalizzata sulla finanza sostenibile, intesa come forza propulsiva del cambiamento: l’obiettivo è aumentarne trasparenza e credibilità, rendendo allo stesso tempo disponibili dati affidabili, di qualità e condivisi. In questo senso, il Regolamento sulla tassonomia europea della attività eco-compatibili rappresenta uno strumento chiave per finanziare la transizione.
La tassonomia permetterà infatti agli investitori di orientare le scelte di investimento, e alle aziende di allineare modelli di business e processi usando un alfabeto condiviso. Sulla base dei dati pubblicati dalle imprese in risposta al Regolamento – il fatturato, gli investimenti in conto capitale e le spese operative relativi alle attività allineate alla tassonomia – gli investitori potranno infatti analizzare le aziende tenendo conto del loro impatto ambientale e dei progetti di decarbonizzazione. Inoltre, la maggiore disponibilità di informazioni supporterà sia le auto-valutazioni delle imprese rispetto ai propri rischi e impatti climatici, sia il dialogo degli investitori con le società investite e permetterà una maggiore trasparenza per quanto riguarda gli strumenti finanziari che si propongono di raggiungere obiettivi di sostenibilità.
La tassonomia, insieme al Regolamento riguardante la trasparenza delle informazioni sulla finanza sostenibile (SFDR) – entrato in vigore a marzo scorso – e alla nuova proposta di Direttiva sulla disclosure di sostenibilità delle aziende (CSRD), rappresentano i pilastri principali della nuova architettura normativa comunitaria sulla finanza sostenibile. Sarà importante monitorare i tempi di completamento ed entrata in vigore degli atti delegati e soprattutto della CSRD, che, come nuova direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese, sarà alla base delle attività di disclosure in base ai requisiti posti dalla tassonomia alle aziende e da SFDR rispetto ai prodotti finanziari. Oltre alla disponibilità di dati, è importante anche che questi siano affidabili e comparabili: la rendicontazione delle imprese deve essere effettuata secondo standard comuni e, in caso di coinvolgimento di data provider, occorre trasparenza sulle metodologie di calcolo per contrastare il rischio di greenwashing. Un altro elemento cruciale è l’allargamento della platea di aziende che divulgano informazioni sui temi di sostenibilità, che con la nuova proposta di direttiva potrebbe passare in Europa da 11mila a quasi 50mila imprese.
Alla tassonomia delle attività eco-compatibili si dovrebbe affiancare anche una tassonomia sociale, che porterebbe maggiore trasparenza per gli investitori sugli impatti e le performance sociali degli investimenti. In quest’ottica, è molto importante che ci sia un coordinamento con altri provvedimenti europei sulle iniziative legate alla governance aziendale e al controllo delle catene di fornitura. Inoltre, un altro passo importante può essere la definizione di requisiti sociali minimi. Si tratta di un processo complesso, in cui è inecessario commisurare e contestualizzare gli standard sociali della tassonomia con le peculiarità di differenti territori e comunità per massimizzarne la rappresentatività. È infatti necessario scongiurare che la standardizzazione abbia l’effetto distorto di cristallizzare diseguaglianze in differenti contesti socio-economici.
Altri aspetti riguardano l’applicabilità della tassonomia e l’approccio del disinvestimento. Una lista di attività socialmente pericolose potrebbe paradossalmente rischiare di bloccare la transizione di alcuni settori economici, molti dei quali sono significativi o strategici per il Paese e la sicurezza nazionale. È dunque necessario valutare nel suo complesso l’impegno sulle questioni sociali e ri-orientare i flussi di capitali sostenibili per promuovere una migliore qualità della vita in termini di lavoro dignitoso e modelli sostenibili di produzione, in ogni settore economico.