Investimenti sostenibili e tassonomia per la giusta transizione
Nel percorso verso l’obiettivo net-zero è fondamentale tenere conto degli aspetti sociali
Forum per la Finanza Sostenibile, 25 Ago 2021 - 11:50
Per mantenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi o, meglio, entro 1,5 e raggiungere la neutralità climatica al 2050, riducendo allo stesso tempo le disuguaglianze sociali in linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 ONU, serviranno investimenti molto consistenti.
In Europa, secondo il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, solo per la transizione climatica saranno necessari 350 miliardi di euro di nuovi investimenti all'anno. L’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) ha stimato che, per allinearsi allo scenario di un riscaldamento globale non superiore a 1,5 gradi, da qui al 2050 serviranno investimenti aggiuntivi nel sistema energetico pari a 33mila miliardi di dollari. I benefici saranno maggiori dei costi: per ogni dollaro speso, il ritorno sarà tra i 2 e i 5,5 dollari, grazie a riduzione dell’inquinamento atmosferico e mitigazione della crisi climatica, con effetti positivi a livello sia sociale, sia ambientale. Rispetto invece al raggiungimento degli SDGs, secondo l’OCSE il divario finanziario da colmare di 2.500 miliardi di dollari nei Paesi in via di sviluppo calcolato nel 2019 potrebbe aumentare del 70% a causa della pandemia.
Il G20 Ambiente, che si è svolto a Napoli il 22 e 23 luglio 2021, ha riconosciuto il ruolo fondamentale della finanza sostenibile. La presidenza italiana ha rilanciato lo scorso aprile un apposito gruppo di lavoro per favorire l’allineamento del mercato dei capitali all’Agenda 2030 e all’obiettivo net-zero al 2050, comune a Europa e Stati Uniti. Il Sustainable Finance Working Group sta definendo un programma di azioni del G20 in questo ambito, anche attraverso un confronto con gli attori privati: il Forum per la Finanza Sostenibile ha preso parte al workshop G20 Sustainable Finance Roadmap Private Sector valorizzando le esperienze e competenze della propria base associativa.
I segnali che arrivano dalla finanza sostenibile sono positivi e delineano grandi volumi di capitali mobilitati per la transizione: secondo BloombergNEF, nel 2020 aziende, governi e famiglie hanno investito oltre 500 miliardi di dollari in tecnologie e sistemi legati alla decarbonizzazione, il 9% in più rispetto all’anno precedente nonostante le difficoltà connesse alla pandemia. L’ultima edizione del report Renewable Energy Country Attractiveness Index (RECAI) elaborato dalla società di consulenza EY fotografa il crescente interesse degli investitori istituzionali per le energie rinnovabili, individuando tuttavia un collo di bottiglia negli aspetti di programmazione pubblica: per aumentare i flussi finanziari provenienti da istituzionali e società di assicurazione occorrono impegni di investimento in infrastrutture più chiari da parte dei governi.
Un recente articolo del settimanale britannico The Economist individuava un altro rilevante collo di bottiglia nelle catene di approvvigionamento. Ci sono appunto crescenti investimenti per sviluppare tecnologie allineate agli obiettivi net-zero e numerose aziende pronte a sfruttarli, ma il processo potrebbe essere rallentato dall’insufficiente disponibilità di materie prime, in un quadro in cui diverse filiere hanno già risentito di pesanti blocchi a causa della pandemia, che ha reso più complessi i processi estrattivi. La disponibilità di materie prime per la transizione non è però l’unico aspetto in gioco quando si parla di catene di fornitura. Queste ultime pongono anche delle sfide sul piano dell’equità e del rispetto dei diritti umani. Nel percorso verso l’obiettivo net-zero è fondamentale tenere conto degli aspetti sociali, in ottica di transizione giusta o just transition.
Si pensi al caso dei minerali necessari per produrre le batterie delle auto elettriche. Da una parte, litio, cobalto, manganese, nichel e grafite sono materie prime fondamentali per la transizione; dall’altra, la loro estrazione può comportare gravi conseguenze ambientali e sociali, come documentato da un report del centro di ricerca olandese SOMO. Nell’estrazione del litio, per esempio, in Sud America si sono registrate violazioni di diritti umani e inquinamento delle risorse idriche, mentre nelle miniere di cobalto della Repubblica Democratica del Congo si sono osservati numerosi casi di lavoro minorile, esposizione dei lavoratori a sostanze tossiche, contaminazione di acque e suoli. Persino la campagna elettorale per le elezioni politiche della Groenlandia ad aprile scorso si è incentrata su un grande progetto estrattivo con effetti sociali e ambientali molto dibattuti: progetto cruciale sia per la transizione, sia per il modello di sviluppo che l’isola artica voleva darsi per i prossimi decenni.
Un altro aspetto molto rilevante da tenere in considerazione in un’ottica di just transition riguarda il futuro dei lavoratori attualmente impiegati nelle industrie più interessate dai cambiamenti in corso. Un caso significativo è quello l'industria automobilistica, che in Europa solo nella diretta produzione di veicoli impiega 2,7 milioni di persone. Qui i cambiamenti organizzativi innescati dalla pandemia e dal graduale processo di digitalizzazione si sommano a quelli prodotti dalle politiche comunitarie di decarbonizzazione. A luglio scorso, in una lettera aperta al vicepresidente della Commissione EU Frans Timmermans, sindacati, associazioni industriali e ambientalisti hanno chiesto un framework per la giusta transizione del settore automobilistico: 2,4 milioni di lavoratori avranno infatti bisogno di formazione e riqualificazione professionale.
Cruciale sarà indirizzare i flussi finanziari verso i settori chiave per una transizione giusta ed equa, che garantisca allo stesso tempo sostenibilità ambientale e sociale. In questo, rappresenta un fondamentale strumento la tassonomia europea, ossia quel sistema di classificazione previsto dall’Action plan del 2018 per offrire un linguaggio comune e una definizione condivisa di ciò che è sostenibile. Facendo della trasparenza un requisito primario, la tassonomia favorirà gli investimenti nelle attività effettivamente sostenibili, che contribuiscono in modo significativo al raggiungimento degli obiettivi ambientali europei e a salvaguardare la coesione sociale, aiutando a contrastare i fenomeni del greenwashing e del socialwashing.
La tassonomia sociale su cui la Commissione Europea potrebbe pronunciarsi entro la fine di quest’anno potrà aiutare, unita a quella ambientale, a condurre valutazioni ESG più complete sulle attività economiche, comprese quelle in cui permangono criticità. Le tassonomie europee sugli aspetti ambientali e sociali permetteranno, se applicate congiuntamente ed efficacemente, di sciogliere molti nodi e stimolare le società a intraprendere la strada della transizione. Anche le iniziative di engagement promosse dagli investitori potranno trarre beneficio da queste classificazioni e indicatori comuni a livello europeo, incoraggiando l’allineamento di strategie e processi aziendali agli SDGs e agli obiettivi ambientali stabiliti dal New Green Deal.