Responsabilità Sociale d’Impresa - Parte seconda
Gli Stakeholder
FTA Online News, Milano, 24 Mar 2006 - 10:37
Parte prima | Parte seconda
Chi sono gli stakeholder, coloro che sono influenzati dalla condotta aziendale? La risposta è semplice, e ci consente di presentare i 4 campi d’azione di norma individuati: l’ambiente, inteso come patrimonio naturale e culturale, sul quale le aziende generano, inevitabilmente, impatti negativi; le parole chiave in questo caso sono ottimizzazione delle risorse, eco-compatibilità, monitoraggio costante. Parliamo poi delle risorse umane, un patrimonio che deve essere non solo tutelato e valorizzato, ma dovrebbe aver voce in merito alle scelte aziendali. Vi è poi il mercato, composto da consumatori, fornitori, comunità finanziaria. Da un lato il cliente è divenuto come un partner, il rapporto deve essere trasparente, per stabilire un rapporto fiduciario che assicura solidità economica; questo richiede anche una selezione a monte, per garantire la qualità del prodotto offerto. Dall’altro, anche nella business community sta emergendo il desiderio di agire attivamente sulla realtà premiando le imprese che sanno coniugare utile e agire etico.
L’espressione che è stata coniata è Socially Responsible Investing, consiste di fatto nell’adozione di criteri di natura sociale e ambientale nella selezione dei titoli da inserire nel portafogli, pur tenendo presente i paramentri consueti di rischio e redditività. Il mondo finanziario si attrezza velocemente per rispondere a queste esigenze, espresse per la prima volta verso gli anni Trenta dalle comunità quacchere e mormone americane: nascono i fondi etici, nei quali si intrecciano criteri negativi (esclusione del settore armi, tabacco, alcol, gioco d’azzardo), e criteri positivi (selezione attiva, sulla base di un rating etico) nella scelta delle società da inserire.
La crescita dei fondi etici determina la nascita di indici specialistici, tesi a valutare la performance del paniere di imprese di riferimento. Il primo è lo statunitense Domini Social Index, (1990), a cui si sono aggiunti in tempi più recenti anche elaborazioni europee come il Dow Jones Sustainability Index (DJSI), il FTSE4GOOD (promosso dal London Stock Exchange e dal Financial Times), l’Ethibel Index, l’Axia Ethical Index e l’Ethical Index (E. Capital Partners), declinati secondo l’estensione geografica considerata (World, Europe, Usa, Uk..). L’appartenenza a questi indici conferisce un “marchio di qualità”alle imprese promosse, che le rende più appetibili agli occhi degli investitori; inoltre, lo screening a cui vengono sottoposte facilita anche il compito di valutazione da parte di giornalisti e analisti.
Infine, è proprio la comunità in generale che beneficia di questa nuova sensibilità: un universo eterogeneo sempre più consapevole grazie alla circolazione delle informazioni e al processo di globalizzazione, che non accettano l’idea classica d’impresa come sistema votato solo alla generazione di profitto, ma richiedono che contribuiscano a migliorare la qualità della vita.
Da cosa deduciamo l’atteggiamento più o meno “politically correct” di un’impresa? La responsabilità deve essere comunicata e resa nota, anche se essa è solo la fase finale di un processo più profondo, che si inserisce in maniera trasversale in tutti i livelli dell’azienda, primo fra tutti quello della visione strategica, dei valori, che ritroviamo formalizzati nei codici etici.
Sistemi di gestione, certificati e dichiarazioni d’intento costituiscono certamente la parte più visibile del percorso d’impresa ma, è bene ribadirlo, non sono il fine ultimo.
Tra le iniziative di cittadinanza d’impresa (altra espressione diffusa) degli ultimi anni, alcune hanno avuto maggior successo, e sono distinte in principi d’ispirazione e standard di certificazione. Emblematico del primo gruppo è l’iniziativa lanciata da Kofi Annan nel 2000, il “Global Compact”, per coinvolgere le imprese in un patto fondato su regole universalmente riconosciute di tutela e rispetto. Nel secondo gruppo rientrano tutte le famose certificazioni ambientali, di qualità, di rispetto del lavoro di cui spesso sente parlare (SA8000, AA1000, ISO14001 etc.). La rendicontazione è una scelta altrettanto in voga: redigere un bilancio sociale-ambientale, EHS (environment, health, safety) o di sostenibilità dovrebbe essere un momento per fare il punto della situazione ed alimentare il processo di continuo miglioramento. Spesso, invece, tutto si riduce ad un corposo documento patinato che nessuno si prende la briga di leggere, un trucco per catturare l’attenzione e ritoccare la propria immagine.