Islanda

Un Modello in Crisi



FTA Online News, Milano, 16 Ott 2009 - 11:22

Fino all’autunno del 2008 l’Islanda era considerato uno dei paesi più ricchi ed evoluti del mondo. Lo scoppio della crisi dei mutui subprime ha però improvvisamente e drammaticamente messo in luce la fragilità di un sistema economico che, a partire dagli anni ’90 e dalle privatizzazioni inaugurate da David Oddsson, aveva forse puntato troppo sulla finanza e sui suoi meccanismi speculativi.

Da un’economia principalmente dedita alla pesca la terra del ghiaccio passa a un’economia fortemente orientata alla speculazione finanziaria internazionale. Il Krona, la moneta locale, è l’arma con la quale le principali banche del Paese attaccano i principali mercati internazionali, attirando con tassi d’interesse assolutamente vantaggiosi i capitali stranieri. Un tasso d’interesse della banca centrale del 5-6% contro il 3-4% dell’Europa e degli Stati Uniti o il tasso quasi nullo del Giappone consente ai correntisti stranieri di ottenere dei tassi attivi decisamente interessanti dalle banche islandesi.

Miliardi di dollari, sterline, euro e yen piovono sull’economia islandese. I giovani passano rapidamente dagli impieghi tradizionali nella pesca o nelle piccole industrie del Paese al lavoro in banca e nelle istituzioni finanziarie che finiscono per impiegare fino a quasi un terzo della popolazione. Il mercato immobiliare, in contemporanea, finisce per generare un’altra bolla speculativa.

A fine 2008 l’Islanda ha un Pil reale da circa 12-13 miliardi di dollari con una popolazione di 320 mila persone e asset nazionali e internazionali di dimensioni impressionanti se rapportate all’economia reale del Paese. Le principali tre banche del Paese hanno infatti sfruttato la forza del Krona per fare acquisizioni all’estero (principalmente in Svezia, Danimarca e Norvegia) grazie alla potenza di fuoco regalatagli dagli investitori stranieri che si sono aperti un remunerativo conto corrente presso di loro.

Proprio la crisi di liquidità dei mercati internazionali e il crollo dei listini finanziari mettono le banche islandesi con le spalle al muro sottraendogli improvvisamente i mezzi per ripagare i debiti di breve periodo e forzandole alla bancarotta e alla nazionalizzazione. Nel settembre del 2008 la terza banca dell’Isola, Glitnir, viene salvata dallo Stato che ne compra il 75% per 600 milioni di euro. Fra il 7 e il 9 ottobre l’Autorità di sorveglianza finanziaria islandese (FME) è costretta a commissariare la prima e la seconda banca del Paese, Kupthing e Landsbanki, rivelando al mondo il baratro di un’economia fino ad allora invidiata.

Mentre Standard & Poor’s riduce il giudizio sul debito allo status di un junk bond il 7 settembre l’Islanda decide di congelare i conti esteri. La Gran Bretagna legge la manovra, che di fatto impedisce a molti cittadini inglesi di ritirare il proprio denaro dai conti islandesi, come ostile e applica l’Atto Antiterrorismo varato in occasione dell’attentato alle Torri Gemelle congelando gli asset delle banche irlandesi nel Regno Unito. Il precipitare delle relazioni diplomatiche tra i due paesi sarà attenuato solo in parte dal risarcimento da quasi 4 miliardi di dollari che Reykjavik varerà in favore della Gran Bretagna e dell'Olanda.

Sempre nel 2008 l’inflazione, anche a causa dell’ondata di finanziamenti stranieri e di massa monetaria generatasi fino ad allora, vola al 14% circa contro le attese inferiori ai 3 punti percentuali. I tassi d’interesse della banca centrale volano fino al 18% del luglio del 2009 e solo il prestito da 2 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale scongiura la bancarotta dell’intero Paese. L’uscita dei titoli finanziari olandesi dai panieri internazionali del Ftse e dell’Msci e il crollo della moneta esiliano di fatto Reykjavik dai mercati mondiali: è solo il corollario di una crisi che continua ancora oggi.

Verso la fine del 2009 la situazione del Paese appare ancora incerta, sebbene più stabile di quanto non fosse nell’autunno del 2008. Il primo ministro islandese Jóhanna Sigurdardóttir cerca di mediare con la comunità internazionale, con il Fondo Monetario e con i paesi alleati per traghettare il Paese fuori dalla crisi, ma le posizioni sui singoli dossier appaiono spesso distanti. Intanto, però, a Reykjavik molti giovani ex-broker che hanno perso il lavoro cercano di inventarsi una nuova strada, forse un nuovo Paese.


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