Cosa è un fondo Hedge? - Parte terza
Principali strategie di investimento
FTA Online News, Milano, 10 Mar 2006 - 12:00
Dopo aver cercato di dare un’idea riguardo al contesto in cui operano i fondi Hedge in termini di struttura societaria e strumenti utilizzabili, cercheremo ora di accennare alle principali strategie di investimento seguite in questa particolare nicchia dell’industria del risparmio gestito. Alfred Winslow Jones, padre fondatore degli Hedge fund (e della dicitura che oggi li identifica), per primo utilizzò sistematicamente la vendita allo scoperto non con finalità speculativa, ma per proteggere il portafoglio da lui gestito dai ribassi di mercato. Jones comprava titoli che riteneva sottovalutati e contemporaneamente vendeva allo scoperto quelli sopravvalutati, in modo da ridurre molto la volatilità del suo fondo. Inoltre, se prevedeva fasi di rialzo nei mercati, aumentava le posizioni lunghe, in caso contrario quelle corte, continuando comunque a proteggere il valore del capitale. Il fondo di Jones nel decennio '55-65 guadagnò al netto di spese, commissioni ed incentivi il 670%, a fronte del 358% messo a segno dal migliore mutual fund e del +225% dello S&P 500. Da allora, comunque, questi fondi hanno raggiunto un grado di specializzazione molto più elevato.
I primi hedge operavano soprattutto con strategia relative value, effettuavano arbitraggi privi di rischio per sfruttare le inefficienze di mercato (risk free arbitrage). La crescente integrazione nei mercati finanziari, la velocità di circolazione delle informazioni e i progressi tecnologici tendono a rendere praticamente nulli questi profitti: ora i gestori si concentrano sui cosiddetti risk arbitrage prendendo posizioni opposte su titoli simili (stessa tipologia di strumento, stesso settore merceologico, stesso mercato servito, dimensioni e struttura societaria simile). Il gestore compra azioni di una società ritenuta sottovalutata rispetto ai concorrenti finanziandosi con la vendita allo scoperto di un competitore sopravvalutato rispetto al mercato: nel lungo periodo lo sconto relativo del primo e il premio del secondo dovrebbero ridursi consentendo al gestore un doppio profitto, sia sulla posizione lunga (i prezzi del titolo sottovalutato salgono) sia su quella corta (i prezzi di quello sopravvalutato calano garantendo la possibilità di chiudere l’operazione con profitto). Più agevole di quello sui mercati azionari è l’arbitraggio su titoli a reddito fisso: le obbligazioni hanno una forte correlazione, ma possono aversi rendimenti molto diversi anche fra bond con la medesima rischiosità.
Un altro tipo di arbitraggio è quello statistico: attraverso un mix di posizioni lunghe e corte viene creato un portafoglio assolutamente insensibile al rischio di mercato, ma in grado di garantire ritorni comunque positivi. Infine ricordiamo le operazioni di arbitraggio sui titoli convertibili: si cerca qui di sfruttare le differenze tra il valore di mercato ed il valore teorico di conversione azionaria di un titolo obbligazionario o di concambio in caso di acquisizioni (tipo Opa) con pagamento mediante titoli.
Altra macro categoria è quella dei fondi azionari event driven, quelli cioè in cui i gestori scommettono sul verificarsi di un determinato evento in grado di cambiare più o meno radicalmente la valorizzazione di una società, soprattutto in caso di possibilità di fusione o di società in difficoltà. Identificando l’esatto valore che la compagnia potrebbe avere dopo la fusione o la riorganizzazione il gestore interverrà in caso di prezzo relativamente basso potendo lucrare al verificarsi dell’accadimento previsto. Queste strategie di investimento risultano particolarmente performanti in caso di difficile situazione macroeconomica, quando il diffuso sentiment negativo garantisce ottime opportunità di acquisto.
Il gruppo di fondi cosiddetti opportunistic tende invece a seguire il mercato, a cavalcarne i trend. Tra questi molto utilizzate sono le strategie global macro che sfruttano le inefficienze estreme a livello globale generate da distorsioni macroeconomiche. L’approccio utilizzato è di tipo top down (dal generale al particolare): i gestori cercano di individuare i fattori economici, politici e sociali che potranno generare le distorsioni di prezzo attraverso analisi macroeconomiche globali e quindi individuano paesi e settori in cui operare per sfruttarle. Queste strategie sono il modo migliore per gestire fondi di grosse dimensioni: alcuni di questi hanno un capitale di svariati miliardi di dollari e sono quelli che consentono la maggior discrezionalità ai gestori. La strategia "opportunistica" include anche i fondi long/short equity, che aprono posizioni lunghe o corte sul mercato non anticipandolo, ma seguendo il trend, come faceva Alfred Jones.
Un ultima categoria di fondi che tuttavia si pone a cavallo tra gli hedge fund e i fondi tradizionali è quella specializzata sui mercati emergenti. Analogamente ai fondi tradizionali anche in questo caso vengono create solo posizioni lunghe (in sistemi finanziariamente poco sviluppati lo short selling spesso non è tecnicamente praticabile) e raramente si opera a leva. Tuttavia questi investimenti prevedono forti coperture contro i rischi di cambio (hedging nel senso più genuino del termine) e come i fondi speculativi sfruttano le inefficienze di mercato che in sistemi finanziari poco sviluppati possono essere decisamente rilevanti.