Il fallimento: come si svolge la procedura fallimentare

Approfondisci in che cosa consiste la procedura di fallimento, come si svolge e quali sono le conseguenze.



FTA Online News, Milano, 06 Apr 2022 - 10:00

Il fallimento è una procedura concorsuale che regola la crisi dell’impresa e trova i propri riferimenti nel Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267 (la Legge Fallimentare) con i successivi aggiornamenti. L’obiettivo principale della procedura è la soddisfazione (almeno parziale) dei creditori e, se possibile, la salvaguardia di almeno una parte delle attività interessate.

L’art. 5 della Legge Fallimentare precisa che:

“L'imprenditore che si trova in stato d'insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Il fallimento nasce dunque da uno stato di insolvenza, ma l’iter fallimentare è abbastanza lungo e complesso.

 

Il fallimento: a chi è rivolta la procedura

Sono esclusi dal fallimento gli imprenditori che al contempo abbiano un attivo patrimoniale inferiore ai trecentomila euro, ricavi lordi annuali non superiori ai duecentomila euro e debiti inferiori a cinquecentomila euro. Esclusi gli enti pubblici, sono soggetti alla procedura fallimentare gli imprenditori commerciali. Quindi questa normativa non coinvolge le imprese agricole o i soggetti che, ad esempio, esercitino una professione intellettuale.
Va inoltre precisato che la procedura fallimentare si rivolge a imprenditori medio-piccoli, in quanto per le imprese più grandi sono previsti altri percorsi, come quello della liquidazione coatta amministrativa o dell’amministrazione straordinaria.
La dichiarazione di fallimento non ha luogo, se dagli atti dell’istruttoria prefallimentare risulta un ammontare dei debiti scaduti o non pagati inferiore a trentamila euro.

 

La procedura fallimentare

La legge afferma che il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero. È il tribunale del luogo dove ha sede principale l’impresa a dichiarare il fallimento.
La procedura comincia con il tribunale che convoca con apposito decreto il debitore e i creditori, interviene nel procedimento anche il pubblico ministero che abbia assunto l’iniziativa.
L’udienza viene convocata entro 45 giorni dal deposito del ricorso, ma devono passare almeno 15 giorni tra la notificazione e l’udienza stessa. Fino a sette giorni prima dell’udienza le parti possono presentare memorie, documenti e relazioni tecniche. Il tribunale dispone inoltre che l’imprenditore depositi i bilanci degli ultimi tre esercizi e una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata. L’istruttoria garantisce comunque il principio del contradditorio.

 

La sentenza di fallimento

Il tribunale dichiara il fallimento con una sentenza. Questa deve prevedere diverse cose. La nomina di un giudice delegato per la procedura e di un curatore. Deve ordinare il deposito delle scritture contabili obbligatorie al fallito e dell’elenco dei creditori entro tre giorni. La sentenza inoltre stabilisce luogo, giorno e ora dell’adunanza per l’esame dello stato passivo. Ai creditori e ai terzi è permesso di presentare domanda di insinuazione entro trenta giorni. Entro questo termine il giudice delegato nomina il comitato dei creditori.
La sentenza è notificata al debitore entro il giorno successivo al deposito in cancelleria ed è annotata al registro delle imprese di riferimento. Entro trenta giorni è possibile un reclamo del debitore o di qualunque interessato.

 

Conseguenze del fallimento

Il fallimento ha o può avere conseguenze patrimoniali e sulla persona dell’imprenditore e conseguenze processuali. Innanzitutto si verifica lo spossessamento del fallito dai suoi beni, compresi quelli acquisiti durante la procedura fallimentare. Vengono esclusi solamente beni strettamente personali, quanto serve al mantenimento del fallito e della sua famiglia, le cose impignorabili per legge.
Anche gli atti dell’imprenditore successivi al fallimento non hanno efficacia rispetto ai creditori. Possono esserci dure conseguenze anche sul piano penale con la contestazione di reati come la bancarotta o il ricorso abusivo al credito.

A questo punto è il curatore ad assumere l’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato. Il curatore deve compilare l’elenco dei creditori e gestire le comunicazioni con loro. Entro 60 giorni deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata sul fallimento e sulle responsabilità coinvolte. Successivamente dovrà riepilogare le attività svolte ogni sei mesi e inviarne una copia anche al comitato dei creditori con gli estratti conto. Il fallito è tenuto a consegnargli la corrispondenza collegata al fallimento e a indicargli il proprio domicilio. Il curatore deve dunque predisporre un piano di liquidazione da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori e procedere con le necessarie vendite e realizzazioni dell’attivo al fine di soddisfare i creditori.

 

Le alternative per la crisi d’impresa

Il legislatore ha voluto negli anni creare delle alternative alla procedura fallimentare tradizionale. In caso di difficoltà non ancora conclamata, è consentito infatti all’impresa un accordo con i creditori, che permette una risoluzione stragiudiziale della crisi.
La stessa legge fallimentare prevede, in caso di dissesto già conclamato, il ricorso al concordato preventivo (liquidatorio, misto o in continuità aziendale) o all’accordo di ristrutturazione dei debiti. Infine l’art. 67 della Legge Fallimentare prevede la possibilità di un piano di risanamento alternativo alla procedura fallimentare ordinaria.


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