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GAM: Non bisogna pensare troppo alle elezioni americane - PAROLA AL MERCATO

di Julian Howard* (Il Sole 24 Ore Radiocor) - 7 lug - A cinque mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, il dibattito politico-sociale non e' mai stato cosi' agitato. Per gli investitori, il collegamento tra politica e mercati e' naturale, ma i dati indicano che i mercati continuano a essere ampiamente agnostici. Le battaglie culturali in America stanno infuriando come mai prima d'ora. Per averne la prova, basta vedere come il sistema educativo statunitense sia stato oggetto di un intenso conflitto su questioni come l'identita' di genere, la teoria critica della razza e il Progetto 1619.

Avvertendo un'opportunita', entrambi i principali partiti politici sono intervenuti.

Oggi i sondaggi per la corsa alle presidenziali sono molto vicini, anche dopo la recente condanna di Donald Trump.

Secondo i recenti dati del sito di sondaggi RealClearPolitics, basati sull'ultimo sondaggio Morning Consult di inizio giugno, Donald Trump ha un vantaggio di un solo punto sul presidente in carica Joe Biden. Per molti investitori, il passaggio dalla visibile frammentazione della societa' ai problemi dell'economia e del mercato azionario non e' un salto enorme da fare. Eppure, contrariamente a quanto si possa pensare, sia la storia del mercato azionario che la natura delle rispettive politiche economiche degli attuali candidati suggeriscono che il risultato delle elezioni di novembre potrebbe non fare molta differenza sulle dinamiche di mercato.

Partendo dalla storia, una breve analisi dell'andamento dell'indice S&P 500 prima e dopo le elezioni successive fa poca luce sul rapporto specifico delle elezioni con la performance del mercato azionario. Le elezioni statunitensi hanno tendenzialmente favorito le azioni, probabilmente perche' nel periodo successivo l'incertezza dopo le famigerate ed estenuanti maratone che caratterizzano le campagne elettorali statunitensi e' finalmente terminata. Ma questo sembra piu' un caso di sovrapposizione tra correlazione e causalita'.

Se gli investitori hanno bisogno di ulteriori prove che i fondamentali, piuttosto che la politica, sono cio' che conta di piu', i casi di performance elettorale negativa lo dimostrano in modo convincente. Il primo esempio e' rappresentato dalle elezioni del 2000. Mentre molti democratici ricorderanno con disappunto la controversia sui cosiddetti "hanging chads" che porto' al riconteggio dei voti in Florida nel 2000, il mercato azionario era molto piu' concentrato sull'esaurimento del boom dei titoli tecnologici, o di qualsiasi societa' quotata che aveva aggiunto un "dot.com" al proprio nome. Il sell-off era gia' iniziato nel marzo di quell'anno elettorale e si e' protratto fino all'invasione dell'Iraq nel 2003. Allo stesso modo, le elezioni del 2008 si sono svolte sullo sfondo della crisi finanziaria globale, mettendo in ombra gli eventi politici.

Probabilmente questa volta sara' diverso, con una polarizzazione politica che portera' a scelte di politica economica molto diverse tra Democratici e Repubblicani, e quindi a risultati potenzialmente diversi sul mercato azionario. Tuttavia, mentre la retorica dei due partiti puo' dare l'impressione di essere agli antipodi, il divario effettivo delle politiche e' molto piu' ridotto di quanto la maggior parte degli investitori possa pensare. Si pensi alla questione del commercio e dei dazi. Quando Donald Trump ha annunciato inizialmente i dazi sulle importazioni di merci cinesi nel marzo 2018, la comunita' economica e finanziaria e' rimasta assolutamente sconcertata. Sembrava segnare un allontanamento significativo dall'era della globalizzazione iniziata negli anni '90 e che probabilmente aveva raggiunto il suo apice con l'ammissione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001.

Tuttavia, lo slancio del protezionismo e' ormai trasversale a tutti gli schieramenti politici. Sempre un po' sospettosi nei confronti della globalizzazione e dei suoi effetti sul settore manifatturiero americano, i democratici non hanno annullato del tutto i dazi dell'era Trump. Ora bisogna strizzare gli occhi per individuare le reali differenze tra le due linee politiche.

Deficit sempre piu' ampi sono lo scenario di base Le analogie non finiscono qui. Prendiamo ad esempio il deficit di bilancio degli Stati Uniti, che secondo Bloomberg ha raggiunto quasi il 6% del PIL alla fine di marzo 2024 (il 3% e' generalmente considerato un limite ragionevole). Le potenziali implicazioni negative sono significative. Un deficit di bilancio elevato significa che il Tesoro degli Stati Uniti deve emettere piu' debito e, insieme ai potenziali timori che una Federal Reserve complice possa permetterne l'inflazione (tecnicamente e' improbabile che il Tesoro degli Stati Uniti vada in default), cio' spinge al rialzo i tassi di interesse a lungo termine, che a loro volta potrebbero deprimere le valutazioni azionarie. Tuttavia, nessuno dei due partiti sembra particolarmente preoccupato di affrontare l'espansione del deficit. Per i Democratici, lo stimolo alla pandemia e le iniziative di stimolo alla domanda, come l'Inflation Reduction Act e il CHIPS and Science Act, sono iniziative politiche di grande rilievo che dimostrano il potere del governo centralizzato di migliorare la vita degli americani in generale. Al contrario, in caso di vittoria repubblicana, gli sgravi fiscali introdotti per le persone fisiche e le imprese nel 2017 verrebbero quasi certamente prorogati, nella convinzione che svincolare le persone e le imprese da un governo federale troppo autoritario sia la strada migliore per una forte crescita economica e quindi per una vita migliore per tutti. Quindi, sebbene entrambi i partiti possano avere programmi fiscali e di spesa diversi che riflettono le rispettive ideologie, entrambe le politiche sono paradossalmente accomunate dall'esito indesiderato di un deficit di bilancio sempre piu' ampio.

Tutti questi elementi portano a conclusioni inaspettate. In primo luogo, e' probabile che i fondamentali economici e di mercato siano ancora i fattori piu' importanti per i mercati.

Anche in caso di crisi dei mercati nei prossimi mesi, la storia suggerisce che una semplice elezione non fara' molta differenza. Allo stesso modo, il proseguimento del rally da qui in poi non dovrebbe essere vanificato nemmeno da una singola competizione presidenziale. E' vero che e' improbabile che la competizione del 2024 offra la prospettiva di tariffe d'importazione piu' basse e di deficit fiscali piu' contenuti e, in teoria, questi aspetti dovrebbero destare almeno una certa preoccupazione per le ragioni illustrate. Tuttavia, poiche' nessuno dei due fattori ha ostacolato finora la performance stellare del mercato azionario, e' difficile sostenere che diventeranno improvvisamente un problema il 4 novembre. Cio' suggerisce che, nel complesso, gli investitori non dovrebbero lasciare che anche questa elezione, la piu' duramente contestata, influenzi il loro processo decisionale in materia di investimenti. Nel contesto delle elezioni di quest'anno, potrebbero forse essere grati di questa rara consolazione.

*Lead Investment Director delle soluzioni Multi Asset di GAM "Il contenuto delle notizie e delle informazioni trasmesse con il titolo "Parola al mercato" non puo' in alcun caso essere considerato una sollecitazione al pubblico risparmio o la promozione di alcuna forma di investimento ne' raccomandazioni personalizzate a qualsiasi forma di finanziamento. Le analisi contenute nelle notizie trasmesse nella specifica rubrica sono elaborate dalla societa' a cui appartiene il soggetto espressamente indicato come autore.

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(RADIOCOR) 07-07-24 11:38:56 (0185) 5 NNNN

 


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